Depressione e Biochimica
Sapere & Salute ha posto alcune domande a Stuart A. Montgomery, docente di Psichiatra all 'Imperial College of Science, Tecnology and Medicine di Londra, tra i maggiori esperti mondiali di biochimica del cervello.
Che cosa c' entra la biochimica con La depressione?
NEGLI ULTIMI TEMPI SONO STATI FATTI importanti passi avanti nella comprensione dei
meccanismi che portano alla depressione. In particolare si è provato che la malattia ha una base organica e può essere considerata la conseguenza di anomalie delle funzioni cerebrali e della
trasmissione nervosa. Queste "alterazioni" si verificano nel sistema limbico, un insieme di strutture cerebrali intorno all'ipotalamo, che controlla anche le funzioni coinvolte di norma alla
depressione. L'unità base funzionale del sistema nervoso centrale è il neurone, una cellula che genera e trasmette segnali elettrici. Questi comunicano tra loro gli impulsi elettrici attraverso
una speciale struttura, chiamata sinapsi, in cui è presente una sostanza chimica, il neurotrasmettitore, che rende possibile questo collegamento.Sapere & Salute ha posto alcune domande
a Stuart A. Montgomery, docente di Psichiatra all 'Imperial College of Science, Tecnology and Medicine di Londra, tra i maggiori esperti mondiali di biochimica del cervello.
I neurotrasmettitori sono un lasciapassare?
' PROPRIO COSI' . I neurotrasmettitori hanno il compito di far passare i "segnali" nervosi da; una cellula all'altra del tessuto nervoso e da una parte all'altra del cervello. E quando l'attività di alcuni neurotrasmettitori è in qualche modo compro- messa può comparire la depressione. Ma non basta. Abbiamo anche capito che proprio in base al deficit neurotrasmettitoriale, che insieme alla predisposizione genetica è una delle componenti "chiave" nella nascita del fenomeno depressione, si possono oggi disegnare risposte curative personalizzate. Oggi si sa infatti che, per analizzare la malattia, non basta considerare le modifiche del tono dell'umore, ma bisogna tentare di capire che cosa c'è di biologicamente alterato nel fluire dei messaggi nel cervello. Sono almeno una cinquantina i neurotrasmettitori che agiscono a livello cerebrale, che possono determinare risposte anche in termini di stati depressivi. Per ora, tuttavia si cono- cono con una certa precisione solo la noradrenalina, la serotonina e la dopamina. A queste so- stanze, infatti, è riconosciuto un ruolo chiave nell'insorgenza dei fenomeni depressivi. Che mutano e si trasformano proprio in base al deficit prevalente dei "lasciapassare" dei segnali cerebrali.
Come vengono formulati i farmaci?
SI TRATTA DI "SOSTITUIRE" farmacologicamente l'azione dei neurotrasmettitori. Per capire meglio, pensate a una chiave che entra in una serratura, un evento quotidiano nella vita di tutti che, in scala, si ripete centinaia di migliaia di volte al giorno nel cervello, perché l'azione dei neurotrasmettitori è simile. Questi messaggeri chimici, che consentono alle cellule nervose di "avvisarsi " di quanto sta accadendo in un linguaggio biochimico impercettibile, si comportano in maniera uguale alla chiave che entra nella toppa. Lo scienziato a sua volta tenta di fare lo stesso con i farmaci antidepressivi, in quanto come una sorta di fabbro cerca di riprodurre in laboratorio una chiave del tutto sovrapponibile a quella naturale, sia pure con una certa imprecisione. I farmaci antidepressivi possono però avere un'azione duplice, e per certi versi, opposta. Infatti si può tentare dì creare una "chiave" perfettamente identica a quella naturale, che consenta di "aprire" la serratura e quindi aumenti l'azione del neurotrasmettitore mancante. Oppure si può mettere una specie di "chewing-gum" farmacologico davanti alla toppa, per impedire che la chiave naturale, cioè il neurotrasmettitore, non riesca a entrare. Nel caso della depressione, che può nascere per la carenza di questi composti, l'effetto ricercato con i farmaci è ovviamente il primo.
Ci sono varie facce della depressione?
NEGLI ULTIMI ANNI LA SCIENZA ha dimostrato che non sempre chi soffre di depressione presenta alterazioni a carico di tutti i neurotrasmettitori. Anzi, a volte si può addirittura manifestare un quadro legato al deficit di uno solo di questi "messaggeri" del segnale nervoso. E quindi le indagini si sono via via approfondite per capire, in base ai sintomi, quale potrebbe essere la carenza predominante di una di questa sostanza. Apatia, mancanza di motivazione e volontà, assoluto isolamento dal mondo esterno. E ci si trascina stancamente, apparentemente vinti dalla malattia fino a condurre quasi una vita da automi, che vedono sempre più lontani gli affetti e le attività quotidiane. Ecco i segni più tipici di una grave forma di depressione. In Italia 11 persone su 100, più o meno, possono andare incontro alle diverse forme di questo male, con un picco nelle donne, nella fase che accompagna il passaggio della menopausa. Ciò che preoccupa, tuttavia, è che solo pochi avranno la fortuna di veder riconosciuta la propria malattia, e quindi di poter essere curati adeguatamente. Su 100 individui depressi almeno 70 non sanno di esserlo, e altri dieci non seguono la cura indicata,oppure prendono medicine del tutto inutili. Risultato: solo circa cinque depressi su 100 arrivano a risolvere il problema grazie ai farmaci. Quasi dieci milioni sono le visite mediche per questo problema, più o meno il 2% delle richieste totali di un controllo medico. Tanto che la depressione si piazza al quarto posto dopo l'ipertensione, il diabete e le bronchiti come causa di "controllo" da parte del medico. Ancora: solo uh malato su tre assume i farmaci giusti. Il resto dei pazienti si trova a prendere gocce e pasticche scarsamente produttive, se non del tutto inutili. Il 22% assume tranquillanti, il 7% prende genericamente i "neurolettici" e gli altri cercano di combattere la malattia con un fai da te poco utile. Si può tentare di mirare con la massima precisione la terapia in base alle condizione e ai disturbi del paziente, con l'obiettivo di individuare carenze di noradrenalina, dopamina e serotonina che possono comparire anche da sole, o variamente associate tra loro, fino a definire quadri clinici specifici.
Ma è possibile definire una sorta di identikit con cui tentare di riconoscere chi soffre del male oscuro?
SICURAMENTE. Quando per qualche motivo tendete a indugiare per diversi giorni nella tri- stezza e perdete quel senso di benessere che vi sembrava una prerogativa immancabile nella vostra vita di tutti i giorni,probabilmente potrebbe anche mancare dopamina. Qualcuno è arrivato a definire questa sostanza un vero e proprio "mediatore" del piacere. Infatti pare che la dopamina sia la responsabile di tutta una serie di situazioni che, a cascata, coinvolgono la sfera emotiva. Pensate ad esempio al cibo o al desiderio sessuale: l'attenzione verso questi obiettivi, il desiderio, la spinta per ottenerli, il ricordo del piacere provato e la voglia di riaverlo sono proprio i "passaggi" attraverso cui la dopamina esplica la sua azione. Ed è ovvio che, in caso di carenza di questa sostanza, la spinta verso questi elementi può scemare, fino a instaurare un insieme di sintomi depressivi. Insonnia o desiderio di dormire sempre di più fino a passare la stragran- de maggioranza della giornata a letto potrebbero anche essere i segnali d'allarme per un deficit di serotonina, una altro neurotrasmettitore che, peraltro, risulta estremamente importante anche nel controllo dell'assunzione del cibo. Se ci si accorge che, di colpo, cambia il normale comportamento alimentare al punto che una persona si trova a nutrirsi in modo compulsivo, fino a ingoiare alle ore più strane qualsiasi cosa ci sia in frigorifero o in dispensa, o magari chi ha sempre avuto ritmi regolari nei pasti rinuncia a mangiare come normalmente capitava, forse si tratta di carenza di serotonina. Tuttavia, il cosiddetto "male oscuro" può assumere anche altre sembianze. Con la progressiva chiusura in se stessi da parte delle persone che ne soffrono.
22 Novembre 2009